A Dimaro, dopo la
catastrofe del 29 ottobre scorso, grazie all’immenso lavoro dei Vigili del
fuoco, degli amministratori e dei volontari, la vita sta tornando lentamente
alla normalità. Ecco brani del racconto
del professor Uldarico Fantelli, sulla calamità di fine ottobre e su
quella terribilmente analoga del 1882.
Il professor Uldalrico Fantelli l’ho conosciuto una decina d’anni fa in
occasione della realizzazione di un servizio giornalistico su Dimaro e la Val di Sole. Già sindaco
di Dimaro, ex preside in varie
scuole delle valli di Non e di Sole e dell'Arcivescovile di Trento, Uldalrico Fantelli è un “solandro verace” e un personaggio di
grande cultura. Ha vissuto con ansia e dolore
l’imprevedibile e violenta alluvione del 29 ottobre e di getto ha voluto
raccontarla facendo riferimento all’identica catastrofe del 1882.
Veduta di Dimaro |
“Quomodo facti sunt in desolationem” (Salmo
73,19)
Con questo
splendido versetto biblico, racconta il prof Fantelli, l’allora curato di Dimaro e Carciato, don Marco Odorizzi,
introduceva il racconto dettagliato di quel 16 settembre 1882, quando il Rotian, insieme agli altri due torrenti
che circondano e quasi assediano il paese di Dimaro (Noce e Meledrio, a cui si può aggiungere il rio Val Rosaja,
che incombe sul paese di Carciato) avevano trasformato un normale giorno di
vita alpina in una “dies amara valde”,
in una giornata di dolori e di drammi (per dirla sempre con le parole del
Curato).
Raccontava quell’attento
e curioso curato di Dimaro, che il
giorno 16 settembre del 1882, “era caduta
molta neve sulle montagne, poi incominciò a piovere a dirotto, successe
bonaccia, la neve si sciolse a precipizio, i fiumi ed i torrenti in soli due
giorni si ingrossarono in modo da incutere in tutti il più fondato timore. E
non fu già solo timore, ma ben presto si cambiò in realtà…”.
torrente Meledrio nei pressi di Carciato |
E venne la lugubre sera del 29
ottobre 2018
Quello che abbiamo
vissuto e sofferto a iniziare dalla serata di lunedì 29 ottobre 2018, assomiglia stranamente al disastro di 138 anni fa
e, per molti aspetti, ne ripete pari pari la drammaticità, la gravità, la
sofferenza, le ferite.
La pioggia dirotta, a rovescio e a nubifragio, cui possiamo aggiungere la memoria spaesata di un vento caldo, a turbine, ululante, da deserto; la notte incombente, con le tenebre bucate solo da qualche torcia e faro di macchina operatrice; il fragore dei macigni trascinati a valle da una forza immane e indomabile, che si scontravano, si accavallavano, si mescolavano a tronchi, rami, detriti di tutti i generi; la melma invadente e appiccicosa che ti toglie il movimento e il respiro e ti incapsula in una tomba mobile.
La pioggia dirotta, a rovescio e a nubifragio, cui possiamo aggiungere la memoria spaesata di un vento caldo, a turbine, ululante, da deserto; la notte incombente, con le tenebre bucate solo da qualche torcia e faro di macchina operatrice; il fragore dei macigni trascinati a valle da una forza immane e indomabile, che si scontravano, si accavallavano, si mescolavano a tronchi, rami, detriti di tutti i generi; la melma invadente e appiccicosa che ti toglie il movimento e il respiro e ti incapsula in una tomba mobile.
l'ondata di fango che ha devastato il Dolomiti Camping Village |
E ancora: il senso
di precarietà, di insicurezza, di “inabitabilità” di qualsiasi luogo, compresa
la propria casa; l’assenza di un luogo chiaramente definibile come meta di
salvezza e di sicurezza; la strada asfaltata trasformata in fiume fangoso, in
gora mortale insuperabile; le urla di chi chiedeva aiuto o solo consiglio; le
preghiere di chi paventava l’ultima ora di sua vita; il sordo accorrere di
mezzi e di persone pronte a contrastare il nemico, ma sbigottite dalla ampiezza
e dalla indeterminatezza dell’evento catastrofico cui dovevano fare fronte; il
tonfo delle colate detritiche che livellavano campagne, piazzole e strade;
l’invasione di acque e fango nelle case, il formarsi di nuovi letti di
scorrimento e di deiezione di acque non più trattenute da ripari ed argini,
alcuni di questi di fattura moderna, questo e molto altro ancora faceva pensare
di essere giunti ad un punto di non ritorno, al “redde rationem” finale.
Il “Moloch” ha voluto anche il
sacrificio umano
Michela Ramponi |
E poi, a mano a mano che passavano le ore,
l’angosciosa domanda: ci siamo tutti? forse no! e … Michela (la vittima del disastro) dove è? Ce lo siamo chiesti in molti in quella notte di tragedia
e a diverse riprese e con non celate angosce; e moltissimi, ad iniziare da suo
marito, dai suoi genitori, dal fratello, dai pompieri, dagli amici, dai
volontari, si sono messi in campo a sfidare il destino, per tentare di evitare
un sacrificio troppo pesante ad una famiglia e a una comunità. Ma non c’è stato
nulla da fare. Il “Moloch” ha voluto anche il sacrificio umano. Se nel 1882 i
nostri Avi hanno patito fame, paura, isolamento, interramento di campi e prati,
distruzione di risorse, a noi è andata anche peggio: abbiamo dovuto piangere la
morte di una persona, di una mamma di famiglia, di una donna innocente e buona.
Comunità solandra coesa e
organizzata
Va anche aggiunto però, che rispetto ai
nostri Avi, abbiamo potuto sperimentare cosa significa in Trentino (e mi si passi l’impertinenza: particolarmente in Val di
Sole e di Non) la presenza di un volontariato organizzato di soccorso, di
aiuto, di tutela, di prevenzione, di protezione e assistenza. Se alle 22 e 30
di lunedì 29 ottobre 2018 eravamo alla disperazione, non sapendo più che fare,
che dire, dove andare, dopo la mezzanotte eravamo tutti accolti in case sicure,
calde, ospitali; i più in un hotel (guarda caso, ancora “sui Bonetei”(abitazioni),
come nel 1882 e sotto l’egida di un Santo deputato alla cura del corpo e
dell’anima…), con un letto disponibile, con la sicurezza di non essere soli,
con l’umanità di chi non compiange e non si lamenta a parole, né pontifica sui
massimi sistemi, ma si curva a curare, a lenire, a rassicurare.
Alessandro Fantelli (figlio del prof Uldarico), assessore al turismo del comune di Dimaro e direttore del Centro Rafting Val di Sole |
I volontari sono il volto più
bello della nostra Val Di Sole
Nella disgrazia immane che ci ha
minacciato, ci sono evidenti segni di resurrezione, si sono manifestati grandi
episodi di solidarietà. Ricordarli tutti è impossibile, tacerli è viltà. E
allora, accanto alle tenebre che minacciavano di travolgerci, proviamo a
riassumere le luci della solidarietà che si è dispiegata senza clamore, ma in
modo assolutamente efficace e competente.
Se in questo elenco inserisco per prime e nomino con riconoscenza per le amministrazioni comunale, provinciale e della comunità solandra, non lo faccio per piaggeria o per sotterranea “captatio benevolentiae”. Gli amministratori locali e provinciali, in questa circostanza, li abbiamo visti con i nostri occhi e, taluni, per giorni e notti intere, intenti non a pellegrinaggi elettorali, a defilé arroganti e a inutili sopraluoghi sui siti disastrati o, peggio, impiegati in indecorose esibizioni di proselitismo e di “raccolta voti”, ma impegnati essi stessi nel fango e nella fatica a organizzare, a soccorrere, a provvedere, a decidere: esattamente a fare il loro importantissimo lavoro di tessitura delle risorse, degli interventi, delle soluzioni, dei ripari.
Se in questo elenco inserisco per prime e nomino con riconoscenza per le amministrazioni comunale, provinciale e della comunità solandra, non lo faccio per piaggeria o per sotterranea “captatio benevolentiae”. Gli amministratori locali e provinciali, in questa circostanza, li abbiamo visti con i nostri occhi e, taluni, per giorni e notti intere, intenti non a pellegrinaggi elettorali, a defilé arroganti e a inutili sopraluoghi sui siti disastrati o, peggio, impiegati in indecorose esibizioni di proselitismo e di “raccolta voti”, ma impegnati essi stessi nel fango e nella fatica a organizzare, a soccorrere, a provvedere, a decidere: esattamente a fare il loro importantissimo lavoro di tessitura delle risorse, degli interventi, delle soluzioni, dei ripari.
Altruismo e solidarietà
Difficile poi solo riassumere ciò che hanno
saputo fare i nostri Corpi dei Vigili Volontari del Fuoco, trasformatisi in
punta d’acciaio della Protezione civile, insieme con la Croce Rossa, e con un
nugolo di volontari, uomini e donne di tutte le età e di tutte le carature sociali,
che ci hanno letteralmente “coccolato” nel nostro esilio e hanno provato in
tutti i modi a farci dimenticare, almeno in parte, le bastonate ricevute dal
destino.
Qui gli esempi, diversi in sé ma di ugual
merito civile ed etico, potrebbero riempire le pagine di un libro. Rimangono
però nel mio sguardo attonito e nella memoria, quasi come simboli emblematici,
alcune scene che mai dimenticherò: un presidente della provincia che convince
un’anziana signora a uscire dalla propria casa in pericolo e se la porta in
salvo in albergo; un parroco non ancora “entrato” in carica che celebra la
messa in albergo e organizza la “castagnata sociale” per tutti gli sfollati;
uno sfollato non residente, che, dopo aver persa la casa e salvata a stento la
vita, ti offre un po’ della sua preziosissima produzione di “aceto balsamico”
per insaporire il cibo della carità.
E poi l’imprenditore che dopo aver perso il
lavoro di una vita e aver dovuto licenziare tutti i suoi dipendenti, offre loro
la “cena sociale” in ristorante.
Ognuno di noi ha eretto nel suo cuore un
piccolo monumento di gratitudine per queste persone, che senza alcun obbligo e
a puro titolo di solidarietà umana, hanno saputo farsi vicine al prossimo
bisognoso, correndo anche qualche serio pericolo personale, per non mancare a
un precetto civico ed umano di altruismo e di solidarietà.
Infine, vale la pena citare una frase di Goethe: “la natura, costruisce sempre e sempre
distrugge; coma fa oggi potrà fare sempre”.
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