La graziosa chiesa di legno del villaggio di
Koscielisko, ai piedi dei monti Tatra (110 km da Cracovia ), custodisce una
peculiare immagine della Crocefissione dal forte impatto emotivo; è stata
dipinta nel lager di Auschwitz da un anonimo prigioniero italiano. La storia è
commovente e qui la racconto. Koscielisko è una delle tappe del viaggio alla
scoperta della meravigliosa regione della Malopolska (Piccola Polonia) che ho
recentemente descritto sulla pagine della rivista Caravan e Camper Granturismo.
Lasciata
Cracovia,
città che ci ha incantato per le sue sorprendenti bellezze, ci siamo diretti a
sud attraverso un placido territorio punteggiato di verdi colline, cui fanno da sfondo le creste
dei monti Tatra, ammantate di neve
fino alla tarda primavera. Giunti a Nowy
Targ, per raggiungere il villaggio di Koscielisko,
anziché prendere la strada diretta (la n
47) per Zakopane, abbiamo seguito
(su consiglio della nostra guida Stanislav Apostol) strade secondarie che,
tuttavia, non hanno fatto mancare i motivi d’interesse. A cominciare dallo
scenografico Santuario della Madonna di Ludzimierz, uno dei tanti legato a Karol Wojtyla
e proseguendo con il villaggio di Chocholow, pittoresco e tutto di legno che pare uscito da un libro di favole. La
regione a ridosso dei Tatra è stata
sempre ricca di legname (abeti rossi, larici e faggi) che evidentemente
costituiva il materiale edile
fondamentale anche per la sua facile lavorazione. Nelle terre della Malopolska quindi sono
sorti pittoreschi edifici rurali, ville signorili e incantevoli chiese di legno
che rappresentano un’eredità di gran pregio (alcuni sono patrimonio UNESCO) alla
quale è stato dedicato un peculiare itinerario lungo 1500 km.
Nella
Basilica di Ludzimierz
si trova la statua di una Madonna a cui sono attribuiti molti miracoli e dove
nel 1963 in occasione della incoronazione della statua, Karol
Wojtyla, non ancora arcivescovo di
Cracovia fu protagonista di un fatto
singolare, a cui viene attribuito un
valore simbolico per il successivo
pontificato; durante la processione, prese al volo lo scettro della Madonna che
era uscito dalla mano della statua e
stava cadendo a terra.
Chocholow è un luogo molto
importante per la storia polacca e per essere stato teatro di eccidi ed episodi
di patriottismo legati all’insurrezione del 1846. Gli eventi vengono ricordati
con suggestive rievocazioni storiche, dove tra gli attori protagonisti c’è il
nostro amico Stanislav Apostol (geologo, alpinista, guida turistica).
Dopo Chocholow, proseguendo sulla 958, il
paesaggio si fa alpino, tra boschi di abete rosso e larice, tra prati costellati
di graziose baite e con le cime dei Tatra sempre più incombenti. E’ il
preludio al territorio turistico di Zakopane.
Otto chilometri prima della “Cortina di
Polonia”, ci siamo fermati nel villaggio di Koscielisko dove, tra linde casette, emerge la lignea silhouette
dell’ottocentesca chiesa dedicata a S. Casimiro (nel 500 la Polonia era la più grande potenza europea
e il figlio del Re Stanislao fu appunto
San Casimiro, patrono della Polonia).
L’interno della chiesa è stupefacente: pareti, soffitto, decorazioni, intarsi e
persino i lampadari, tutto rigorosamente di legno. Nella cappella di sinistra
cattura lo sguardo il dipinto del “Gesù
di Auschwitz” che con grande forza
espressiva, parla e comunica più di qualsiasi parola.
L’autore, rimasto sconosciuto nonostante le ricerche, lo aveva dipinto su una tavola del suo giaciglio nel famigerato lager di Auschwitz , definito da Giovanni Paolo II il “Golgotha dei nostri tempi”. Un sopravissuto che lo ha conosciuto, ha raccontato che l’artista italiano comperava i colori dai deportati in cambio del pane e poi di notte, di nascosto, dipingeva il suo Cristo. L’immagine rappresentata, sapendo da chi e dove è stata dipinta, è impressionante: il Cristo, fasciato da un brandello di stoffa che ricorda l’ uniforme a strisce dei deportati, impersona la sofferenza in modo incredibile, amplificata dallo sfondo che raffigura il lugubre paesaggio del campo di concentramento con il filo spinato e gli orridi camini delle camere a gas. In alto sulla croce campeggiano una “P” (prigioniero politico) e un numero: 25.000.000 (forse era l’idea che il pittore aveva dei morti di Auschwitz), mentre sull’aureola che cinge il capo del Cristo si leggono le parole in aramaico “ Elì, Elì, lamà sbactàni”che pronunciò sul Calvario alle tre del pomeriggio (Vangelo secondo Matteo).
Alla morte del prigioniero pittore, i suoi compagni nascosero il quadro sotto il pavimento. Poco prima della liberazione di Auschwitz da parte delle truppe sovietiche, i nazisti trasferirono quasi tutti i prigionieri (anche i compagni dell’artista) in altri campi; ad Auschwitz rimasero solo i deportati malati e, tra questi, il sacerdote polacco Adam Ziemba, che ritrovò il quadro. A guerra finita, al sacerdote fu assegnata proprio la parrocchia di Koscielisko e, così, nella chiesa di S. Casimiro collocò il dipinto, dove si trova tuttora a imperitura memoria.
L’autore, rimasto sconosciuto nonostante le ricerche, lo aveva dipinto su una tavola del suo giaciglio nel famigerato lager di Auschwitz , definito da Giovanni Paolo II il “Golgotha dei nostri tempi”. Un sopravissuto che lo ha conosciuto, ha raccontato che l’artista italiano comperava i colori dai deportati in cambio del pane e poi di notte, di nascosto, dipingeva il suo Cristo. L’immagine rappresentata, sapendo da chi e dove è stata dipinta, è impressionante: il Cristo, fasciato da un brandello di stoffa che ricorda l’ uniforme a strisce dei deportati, impersona la sofferenza in modo incredibile, amplificata dallo sfondo che raffigura il lugubre paesaggio del campo di concentramento con il filo spinato e gli orridi camini delle camere a gas. In alto sulla croce campeggiano una “P” (prigioniero politico) e un numero: 25.000.000 (forse era l’idea che il pittore aveva dei morti di Auschwitz), mentre sull’aureola che cinge il capo del Cristo si leggono le parole in aramaico “ Elì, Elì, lamà sbactàni”che pronunciò sul Calvario alle tre del pomeriggio (Vangelo secondo Matteo).
Alla morte del prigioniero pittore, i suoi compagni nascosero il quadro sotto il pavimento. Poco prima della liberazione di Auschwitz da parte delle truppe sovietiche, i nazisti trasferirono quasi tutti i prigionieri (anche i compagni dell’artista) in altri campi; ad Auschwitz rimasero solo i deportati malati e, tra questi, il sacerdote polacco Adam Ziemba, che ritrovò il quadro. A guerra finita, al sacerdote fu assegnata proprio la parrocchia di Koscielisko e, così, nella chiesa di S. Casimiro collocò il dipinto, dove si trova tuttora a imperitura memoria.
M’accompagni sulle cime e traverso le vallate, di cappana in cappana… Il camminatore dei Monti Tatra – ne rendo sicura e limpida la visione, ne accresco l’ardore, ne riscaldo lo spirito… Del resto ha scritto gia l’Osvaldo.
RispondiEliminaCi vediamo sui Tatra!
Stanislaw Apostol (guida alpina, geologo, raccontatore)